“Il sindacalista me lo disse: manderanno via te, non il dirigente”

Storia di ordinarie molestie sul lavoro:

Cara Olga, mi chiamo Anita (nome di fantasia) e ho da poco lasciato il mio preziosissimo tempo indeterminato presso una nota azienda italiana per colpa del Porco.

La mia storia è squallidamente simile a molte altre del tuo blog: l’ingresso in azienda, l’assunzione, l’arrivo del Porco, gli abusi verbali, l’aggressività, poi la pacca sul culo, le allusioni, appoggiare le mani sul collo e sulle spalle, leggere la mia posta, sbirciare sul mio pc e sulla mia scrivania, fare battutine (ah con lui scherzi, con me no), l’invasività (mi viene solo il vomito a ripensarci).

Poi le lotte per tenermi il mio posto così faticosamente guadagnato, i colloqui con un sindacalista esterno che mi supporta in tutto e per tutto, la lettera e gli incontri con l’ufficio del personale (il direttore del personale che urla che lui di queste cose non ne vuole sapere e che non firma nulla) ed il presidente dell’azienda che testualmente dice: “credo sia stato solo un malinteso fra te e il capo”, la mancanza di prove, la mia parola contro la sua, poi la lettera ufficiale di scuse dell’azienda che dice che “monitoreranno il comportamento a tutela dell’integrità fisica e morale”.

Ma lui resta al suo posto e io al mio, cioè capo diretto. Cioè non cambia nulla, nella sostanza. Cosa credete che accada dopo una cosa del genere?

Le reazioni delle colleghe, che minimizzano, quasi lo scusano, “no dai tieniti il posto”, “e cavolo dai potevi tirargli uno schiaffone e lo rimettevi a posto”.

Resto, ed iniziano le e-mail del Porco, lunghissime, dove mi fa la guerra, mettendo in copia il direttore generale e l’ufficio del personale, mettendomi in cattiva luce; io prima rispondo, poi inizio ad avere paura di sbagliare, la pressione psicologica si fa insostenibile.

Nessuno mi difende. Nessuno alza un dito. Alla mia richiesta di colloqui per chiarire la situazione, non ho nessuna risposta. Sono invisibile, trasparente.

Poi iniziano gli attacchi di panico, la confusione mentale, fino a febbraio di quest’anno, quando il medico mi diagnostica una “sindrome depressiva da stress lavorativo” e mi mette in malattia. Inizio a prendere un ansiolitico.

Mi tornano alla mente le parole del sindacalista: “non mandano mai via un dirigente perché è l’immagine dell’azienda, alla fine te ne andrai tu, mi dispiace, finisce sempre così”

Ho dato le dimissioni ed il Porco mi ha detto: “bene”

Adesso sono a casa. Con i soldi contati, ansia, e senza sapere cosa sarà di me, con la paura di non trovare un altro posto, con la paura di trovare un altro Porco.

Quando lo denunciai tramite i sindacati, mi aspettavo lo mandassero via, invece sono diventata io la colpevole, la bacchettona, la scomoda. Quando ho preteso di avere lettere scritte a mia tutela, ho visto gli sguardi di sufficienza, perché ero una scocciatrice…”ma dagliela e basta!” “Come sei rigida, lasciati un po’ andare!”. Ancora adesso, nel 2015, è colpa della donna. Lo avrò provocato io.

Ho saputo dagli ex colleghi (quegli ex colleghi che facevano finta di non vedere) che il Porco parla ancora male di me, mi diffama ancora.

Ora, piano piano, mi sto riprendendo a livello psicologico. Faccio la casalinga, cucino, vado al mercato, lavo i pavimenti, tante piccole cose. Certo, ora sto bene, mi sento protetta dentro casa mia. Sono serena. Mi sento di nuovo al sicuro e non tutti i giorni nella trincea.

Ma il mio futuro? Sono senza lavoro.

A me hanno portato via tutto: il lavoro, la dignità, la mia indipendenza economica.

Io spero che un giorno, a tutti i protagonisti e ai conniventi di questa squallida vicenda, capiti lo stesso, glielo auguro davvero: che perdano tutto, il posto, i soldi, la salute e che soffrano quello che ho sofferto io. Perché è solo questo che si meritano.

(Fonte: ilporcoallavoro.com)

 

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