L’appello di Toiba, sposa bambina e schiava

Toiba rivolge un appello alle donne del suo Paese: «Non andate in Arabia Saudita a fare le domestiche, vi prego. Non andateci, è una truffa. Una volta che siete li, diventate schiave».

Testimonial improvvisata di questa campagna senza speranze, Toiba ha la sue buone ragioni per combattere l’immenso traffico di ragazze che affligge il suo Paese: l’ha vissuto in prima persona. Nata come tante in un villaggio di campagna, a 12 anni è stata data in sposa a un uomo di 28 che lei non voleva. Scappata tre anni dopo giù in valle, a Tissa si è lasciata convincere che l’unica chance di vita era emigrare all’estero. Un broker le ha arrangiato il viaggio con un prezzo da spavento: 24 mila Birr, più di mille euro: «Ma non preoccuparti, me li ridarai a poco a poco, in Arabia guadagnerai bene».

Detto fatto, Toiba si è ritrovata in un appartamento di Gedda al servizio di una famiglia di 24 persone. E qui si è svelato l’imbroglio: lei, unica domestica, doveva stare dietro a tutto e a tutti 21 ore al giorno; le altre tre, bontà loro, poteva dormire.

Ormai indebitata per una cifra che altrimenti non sarebbe mai riuscita a mettere insieme, Toiba ha chinato il capo e ha iniziato la sua vita da serva, cuoca, babysitter, accompagnatrice e tutto il resto. Anche quando non c’erano cose da fare, dove a comunque restare in piedi a disposizione, ad aspettare ordini. Di casa non poteva uscire se non per andare a fare la spesa; e quando lei – musulmana – ha chiesto di poter andare almeno il venerdì in moschea, si è vista opporre un secco rifiuto: come africana e nera, non aveva diritto a pregare lo stesso Dio dei suoi padroni. Giorni liberi? Uno al mese, se la signora era in buona. Che ovviamente Toiba passava a dormire, per cercare di riprendere le forze. «Le peggiori erano le donne», racconta: «Quasi volessero rifarsi su di me per le l’inferiorità a cui le costringono i loro uomini».

Così è andata, per sei anni. Fino allo sfinimento, fino a perdere il fiato, fino ad addormentarsi in piedi, fino al senso del nulla dentro l’anima.

Un giorno però, a debito finalmente estinto, Toiba non ce l’ha fatta più, è uscita di casa e si è consegnata alla polizia. Come immigrata clandestina, è stata subito arrestata. «Sono finita in una grande cella con altre 50 donne etiopi come me. Era terribile. Alcune sembravano impazzite. Ma alla fine ce l’ho fatta». Dopo due settimane tra le sbarre, Touba è stata infatti prelevata, con altre, e messa su un aereo della Ethiopian per Addis Abeba. Con i soldi che aveva in tasca è riuscita a tornare a Tissa. Lì ha conosciuto la famiglia di quello che sarebbe diventato suo marito – il secondo marito, quello che ha scelto e che ama. Oggi hanno tre figli, lui coltiva la terra, lei vende piccole cose in un negozio-baracca. «Ma dopo quello che ho passato, sono felice. Donne dell’Etiopia, non emigrate in Arabia, è una truffa».

(Fonte: Repubblica)

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